Vito Pappalardo un prete pre-modernista
Vito Pappalardo (1818-1893)
Professore di letteratura italiana per 32 anni al liceo di Trapani, prete liberale partecipe della rivoluzione del 1848, carcerato dal governo borbonico dal 1849 e relegato a Pantelleria nel 1852, attivo nell’insurrezione del 1860 a Trapani, animatore con Nunzio Nasi (1850-1935) della vita civile postunitaria fino al 1893: sono i tratti evocati nell’epitaffio del busto marmoreo che lo raffigura alla villa comunale del capoluogo. Tratti con cui Nasi lo rievocava da discepolo devoto a cinque anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 15 aprile 1893.
Era nato a Partanna (Trapani) il 18 gennaio 1818. Figlio di famiglia numerosa contadina, era stato avviato al seminario di Mazara insieme al secondogenito Paolo, anche perché la famiglia non era in grado di provvedere al loro sostentamento. Entrato nella congregazione di San Filippo Neri, fu a Palermo discepolo di Francesco Paolo Perez (1812-1892) e di Benedetto Castiglia (1811-1877), poi da religioso fu ordinato prete. Dal vescovo di Mazara è chiamato nel 1847 per l’insegnamento di italiano e latino nel seminario, ma per poco, prima di essere travolto dalla partecipazione convinta agli eventi rivoluzionari del 1848 e dalla condanna al carcere. Dal carcere torna a Castelvetrano e da qui al domicilio coatto anche presso i cappuccini a Trapani, da dove lo trae, prendendolo sotto la sua protezione e ricevuto il giuramento di astenersi dal professare le idee liberali, il vescovo di Trapani Vincenzo Ciccolo Rinaldi che nel 1854, appena giunto, trasferisce il seminario della nuova diocesi nell’oratorio dei PP. Filippini adiacente alla chiesa di San Giovanni. All’insegnamento di italiano e latino, con cui Pappalardo si prodiga verso i chierici, si attribuisce lo spopolamento del seminario nel 1860, ma anche a suo merito la formazione di preti e laici che onorarono la città e la Chiesa trapanese [1].
Dalla sua attività pregressa scaturisce certamente una posizione particolare, a partire dal 6 aprile 1860, momento culmine della insurrezione popolare. Tanto che il municipio gli conferisce l’incarico di pronunziare in cattedrale il Discorso politico-religioso, tenuto alla presenza del vescovo il 29 luglio e teso ad affrancare le coscienze cattoliche dai pregiudizi contro la gloriosa insurrezione approdata all’unificazione italiana: pregiudizi derivati dal presunto debito di obbedienza alla dinastia borbonica, ritenuta invece fedifraga almeno dal 1848 e difesa dai gesuiti di «La Civiltà Cattolica», dimentichi dell’autentica dottrina dei padri e dei dottori della Chiesa ed inutilmente accaniti a sostenere il dispotismo del potere temporale. Rivendicazioni, queste, pronunziate da Pappalardo in un ambiente in cui pesa la presenza del vescovo, che nel 1858 era stato Giudice del Tribunale della Monarchia (ossia prelato nella Legazia Apostolica che caratterizzò dall’epoca normanna l’ordinamento ecclesiastico in Sicilia fino al 1867), anche se poi aveva protetto a Trapani i rivoltosi nella repressione impersonata dal generale borbonico. Vi sono reazioni immediate contro il vescovo, cui si rinfaccia il regalismo esagerato nel rispetto e nell’obbedienza al sovrano. Sicché il vescovo, minacciato pubblicamente, è costretto a rifugiarsi a Palermo, mentre il discorso di Pappalardo appare stampato subito dal municipio con l’indicazione della devoluzione del costo a beneficio degli ospedali militari. Il pensiero giusnaturalista di Pappalardo, inoltre, scuote soprattutto perché esplicita i tentativi più spinti emersi in Sicilia a livello dottrinale, non solo sulla necessità teologicamente dimostrata di abolire il potere temporale, ma ancora sull’autorità del papa e dei vescovi. Dopo alcuni giorni, infatti, Pappalardo manda alle stampe Poche verità al buon senso cattolico, opuscolo in cui traduce dodici considerazioni di Jean Charlier Gerson, celebre teologo francese del XIV secolo, stilate ai tempi del concilio di Costanza (1414-1418), ora presentate nella convinzione profonda della loro attualità contro le pretese papali della scomunica del 26 marzo 1860 nei riguardi degli «invasori ed usurpatori» che attentano allo Stato pontificio. Ma altresì contro qualsiasi sentenza ingiusta del potere ecclesiastico, sentenza che non deve essere accettata, sebbene ricusata sia attraverso un’umile via, sia, occorrendo, con virile ed animosa resistenza, in nome della libertà di coscienza. Da Palermo, ovviamente, il vescovo reagisce a queste affermazioni di Pappalardo con un’insolita lettera pastorale datata 30 agosto, dove lo accusa, oltre che d’ingratitudine, di errori e di scandalo, inferti alla religione cattolica, e contestualmente proibisce la lettura delle proposizioni di Gerson, ritenute inficiate di gallicanesimo e già condannate [2].
La polemica coinvolge nei due schieramenti, rappresentati dal vescovo e da Pappalardo, preti e laici, che rispondono per iscritto accusandosi reciprocamente. In difesa del Pappalardo, divenuto oggetto di vituperi e di lettere anonime, interviene anche il noto intellettuale cattolico trapanese, Alberto Buscaino Campo che aveva già preso posizione sull’annessione ed avrebbe proseguito, oltre che nel suo impegno di chiarificazione dei testi neotestamentari, nell’auspicare un papato libero dalle cupidigie del potere e non più ostaggio dei gesuiti in un’Italia cattolica ed unita [3]. Tra gli avversari dei due esponenti del liberalismo, si camuffa come seminarista un giovane prete, ma è riconosciuto e smascherato quale autore di opuscoli anonimi insinuanti. Due opuscoli sono del giovane prete Alberto Lombardo e ripercorrono le affermazioni del vescovo, riversando accuse pesanti sia su Pappalardo sia su Buscaino Campo [4]. Il Pappalardo, da parte sua, tenta, invano, di essere ricevuto a Palermo dal vescovo che si mostrava sempre più oppositore intransigente, mediante una seconda lettera pastorale del 9 febbraio 1861, dove condannava tutti i sostenitori dell’unificazione nazionale definiti traviati ed inconsapevoli di offrirsi alla penetrazione del protestantesimo. La risposta del Pappalardo del 20 febbraio 1861, sempre a mezzo stampa, muove dall’intento di giustificare pubblicamente il suo operato e le sue pregresse affermazioni, senza alcun disprezzo per i dogmi cattolici. Pappalardo distingue il potere spirituale dal potere temporale, definito pietra d’inciampo, sostiene l’ortodossia di Gerson, difende le posizioni di altri preti a lui vicini e coglie nelle posizioni del vescovo motivazioni contingenti e personali, persuaso che la professione della fede appartenga a tutti e che «la casa della verità sia di gran lunga più spaziosa e capace della diocesi di Trapani» [5]. Il recente intervento di Buscaino Campo, apparso con il titolo elogiativo Un saggio di probità e di sapienza clericale, desta l’attenzione del canonico della cattedrale Vito D’Aleo che mette in moto tutta la sua retorica per contenere le argomentazioni del Buscaino Campo, mentre tenta di smorzare, contestualmente, le posizioni del Pappalardo: rievoca gli avvenimenti dal 1848, si sofferma sulla corrispondenza tra Pappalardo e il vescovo Ciccolo-Rinaldi, rassicura l’opinione pubblica che la scomunica comminata dal vescovo non può avere effetto giuridico, perché generica e non personale, dimostra che il gallicanesimo mai ha ricevuto condanne, giustifica la pubblicazione dell’opuscolo di Gerson ad opera del Pappalardo [6].
A questo punto le posizioni del Pappalardo si rafforzano anche in occasione del plebiscito che a Trapani coinvolge preti e laici. La sua impostazione politica in difesa della libertà e dell’unificazione è sintetizzata da lui, dopo vent’anni, in uno scritto occasionale e rievocativo, stilato nel quarto anniversario della morte di uno dei personaggi emblematici dei mutamenti civili avvenuti. Per il resto la passione politica del Pappalardo non era ignota a nessuno e si coloriva anzi dei suoi trascorsi e della difesa di principi di rettitudine [7]. Né valse la minacciata sospensione a divinis da parte del vescovo, quando si raccoglievano le firme per la petizione promossa in tutta Italia nel 1862 dall’ex gesuita Carlo Passaglia, petizione con la quale si chiedeva al papa la rinunzia al potere temporale. Ancora nel 1864 per l’abolizione della Legazia Apostolica in Sicilia è consultato, forse non a caso, dalla segreteria di Stato vaticana il vescovo di Trapani, insieme a quelli di Caltanissetta e di Caltagirone Le risposte del vescovo di Trapani tradiscono le reazioni non sopite alla concezione ecclesiologica da Pappalardo inculcata e diffusa[8]. Di certo da questo ambito trapanese è stilato nel 1869 l’Appello al basso clero italiano della Società Internazionale Emancipatrice del clero cattolico per l’imminente concilio Vaticano I, una richiesta per l’abolizione del celibato ecclesiastico e del dispotismo della gerarchia, nel contesto della auspicata rinunzia al potere temporale. Lo scritto suscita commenti e polemiche sulla stampa regionale [9].
All’indomani dell’unificazione italiana, il 18 ottobre 1860 Pappalardo aveva ricevuto dal prodittatore Mordini la nomina ad Ispettore scolastico a Trapani e nel 1863 era assunto come insegnante di pedagogia alla scuola normale femminile e di letteratura italiana al liceo, dove rimase fino al 1893, nonostante costretto a rintuzzare accuse sui suoi titoli accademici e sulle modalità della sua nomina. Per questo è costretto a rimanere in situazioni di precarietà nel lavoro che svolse con diuturna abnegazione. Un lungo magistero in cui annovera, tra i discepoli succedutisi, Nunzio Nasi, Giovanni Gentile, Nicolò Rodolico e tanti altri. Regge anche, per qualche tempo, il Provveditorato agli studi con Alberto Buscaino Campo quale segretario[10].
La polemica antiautoritaria del Pappalardo riaffiora ancora nella causa civile sostenuta contro la curia vescovile per la nomina a canonico della cattedrale, nomina ottenuta, nonostante una triplice proposta da parte del vescovo Ciccolo-Rinaldi, per intervento nel 1863 del re, cui competeva per l’istituto della Legazia Apostolica a quel tempo vigente in Sicilia. Contro una serie di cavilli avanzati sistematicamente dalla curia vescovile, Pappalardo reagisce con forza, prima di rivolgersi nel 1866 al Tribunale di Monarchia. Da notare che in piena vertenza, nel 1870, Pappalardo sostiene la sua ecclesiologia sinodale e trova conferma nell’interpretazione della bolla di erezione della diocesi nel 1844. La controversia è risolta con la sentenza favorevole giunta dopo oltre un decennio, ma implica il riconoscimento di una successiva nomina vescovile e la ritrattazione della firma apposta alla petizione Passaglia: riconoscimento e ritrattazione cui il Pappalardo rifiuta di piegarsi, sostenendo fino alla fine le sue ragioni pratiche e le sue impostazioni dottrinali. Quelle stesse che espone nel carteggio con il vescovo Francesco Ragusa (1880-1895), al quale si rivolge dal 1880 agli inizi di quel ministero episcopale, ma senza né cedimento e neppure esito di riconciliazione [11].
Appunto questa dirittura morale in difesa dei suoi convincimenti ecclesiali qualifica il Pappalardo nella sua azione civile e pedagogica. Proprio per questa visione teologica la sua figura supera gli ambiti del cattolicesimo liberale. A Pappalardo, infatti, non basta la ripresentazione del fatto cristiano senza un riesame razionale e storico-critico della fede. Per questo non si inquadra semplicisticamente nel cattolicesimo liberale che pure non rifiutava una generica modernizzazione della testimonianza religiosa con iniziative culturali ed associative, con la negazione del devozionalismo e con l’adattamento ai bisogni sociali, usando perfino delle nuove tecnologie della comunicazione. Al contrario a lui preme sintonizzarsi con i mutamenti della società. Conseguentemente Pappalardo rifiuta il regime di cristianità, affermatosi nel medioevo, il cui mito era divenuto progetto teologico-politico per tanti cattolici, anche a seguito della condanna globale della modernità da parte dei documenti papali. In questo modo Pappalardo si apre a ciò che è esteriore al cattolicesimo e proclama il primato dell’uomo.
Al liberalismo Pappalardo si era preparato prendendo posizione nell’analisi degli squilibri sociali in cui era vissuto fin da giovane, quando già sosteneva la necessità di educare politicamente alla «cittadinanza», per poter moderare l’estremismo delle plebi. Ma il suo liberalismo viene superato nel momento in cui propone l’ecclesiologia sinodale emersa al concilio di Costanza nelle rivendicazioni di un teologo come Gerson, attento alla crisi del magistero papale e alle anticipazioni della riforma evangelica protestante. Proporre l’opuscolo di quel teologo postmedievale, sconosciuto a quanti lottavano per l’unificazione italiana e a quanti l’ostacolavano, significa per lui negare il regime di cristianità e porre in primo piano la laicità dello Stato a confronto con un’ecclesiologia sinodale. Il richiamo alla verità senza confini ecclesiastici si alimenta in lui con il dovere di ascoltare la coscienza, come di tentare le vie della riconciliazione senza compromessi. Alla coscienza Pappalardo attinge per chiedere pubblicamente al vescovo di accedere alle nuove istanze e di uscire dai canoni ecclesiastici, ma anche per promuovere a livello regionale la firma alla petizione Passaglia contro il potere temporale. Il suo riformismo religioso giunge a precise richieste che investono la costituzione ecclesiastica e si accordano con l’umanità diffusa del suo agire. Così tutte le sue richieste educano le nuove generazioni ai valori civili ed alla convivenza democratica, ma propongono, altresì, un modo nuovo di essere Chiesa, ossia una ecclesiologia non verticistica, ma di partecipazione.
Anche se pochi di numero, i suoi scritti, pur contrastati da lettere ed opuscoli, raccolgono attorno alla sua figura di prete integro ed operoso i consensi dei suoi discepoli e dei suoi ammiratori soprattutto laici, alcuni dei quali sostennero le sue posizioni teologiche contro i denigratori. Prestigio che nel campo civile lo annovera, a giusto titolo, tra i patrioti liberali. Ma tutti, discepoli e non, furono pronti a tributargli onori ed a riconoscergli prestigio ben oltre il 1893. Il ricordo dei suoi discepoli lo esalta per l’incisività del suo insegnamento della letteratura italiana e per la fierezza del suo portamento. Amava esaltare poeti e letterati e trarre da loro moniti per la vita nazionale. Consapevole che il suo insegnamento tendeva alla formazione e non all’indottrinamento, Pappalardo invitava ad uscire dalla convenzionalità e a rivolgersi al rinnovamento.
In questo modo la sua concezione teologica si fonda sulla riforma della Chiesa, ma anche sulla spiritualità della missione evangelizzatrice e sull’appello alle coscienze: questa la sua teologia che non disdegna la rottura della piena comunione ecclesiale dinanzi ad imposizioni autoritarie. Proprio per questo la sua figura non appartiene solo al cattolicesimo liberale. Anzi, poiché la sua ispirazione alla modernità è radicalmente teologica per le connotazioni all’ecclesiologia sinodale, merita di essere principalmente esaltato tra gli antesignani promotori del modernismo. Si staglia, più precisamente, tra i teologi pre-modernisti, che a Trapani, come in altri contesti della Sicilia, predisposero e svilupparono i fermenti di un’ecclesiologia aperta alla modernità.
Scritti dell’autore: Sullo immacolato concepimento di Maria. Stanze del sac.Vito Pappalardo, Trapani 1858; Discorso politico-religioso del sac.Vito Pappalardo della Casa Filippina di Trapani. Recitato nella cattedrale di Trapani alla presenza di mons. vescovo Vincenzo Ciccolo-Rinaldi il dì 29 luglio 1860, Trapani 1860; Poche verità al buon senso cattolico, Trapani 1860; Lettera del sacerdote Vito Pappalardo a mons.Vincenzo Ciccolo-Rinaldi vescovo della diocesi di Trapani, in «Sud» 20 febbraio 1961; Appello al basso clero italiano della Società Internazionale Emancipatrice del clero cattolico, in «L’Ape Iblea» 199 e in «La Luce» 142; Ad asserzioni gratuite risposta, Trapani 1865; Nella ricorrenza del VI centenario di Dante Alighieri, Trapani 1865; Ragioni del sacerdote Vito Pappalardo contro la Curia vescovile di Trapani, Trapani 1870; Al can. Salvatore Martorana. Lettera prima, Trapani 1872; Al can. Salvatore Martorana. Lettera seconda ed ultima, Trapani 1872; Una falsa idea degradante il capitolo cattedrale di Trapani, Trapani 1883; Lettera al rev.mo can. Salvatore D’Urso, Trapani 1883; Elogio del cav.Giambattista Fradella di Torrearsa, Trapani 1885; Ad un medico. Lettere didascaliche, Trapani 1886.
Scritti sull’autore: A.Buscaino Campo, Un saggio di probità e di sapienza clericale, Trapani 1861; N.Rodolico, Necrologia del prof.Vito Pappalardo, in «Il Lambruschini» Trapani III (1893) n.5; V.Forte, Ricordi biografici del cavaliere canonico Vito Pappalardo, Trapani 1893; N.Nasi, Pel prof.Vito Pappalardo insegnante sacerdote cittadino, inaugurandosi addì 23 gennaio 1898 il suo mezzo busto. Discorso pronunziato dall’on.Nunzio Nasi nella chiesa naz. di Trapani, Trapani 1898; G.B.Quinci, Fonti e notizie storiche sul seminario vescovile di Mazara, Palermo 1937, 414-415; F.Gianquinto, La diocesi di Trapani ne’ suoi cent’anni, Trapani 1945, 20-28; F.L.Oddo, Vito Pappalardo patriota liberale e riformatore cattolico, e Quattro discorsi di Vito Pappalardo, in Ist. per la storia del Risorgimento – Comitato Prov. Di Trapani, Atti del 1959, Trapani 1960, 65-114. 221-265; Idem, Clero liberale nella provincia di Trapani, in Ist. per la storia del Risorgimento – Comitato Prov. Di Trapani, La Sicilia dal ‘48 al ‘60, Atti del 1960, Trapani 1962, 341-370; S.Costanza, Vito Pappalardo e il clero liberale trapanese, in «Trapani» XXIV, 1963, 7-10; Idem, Vito Pappalardo educatore, in «Trapani» XXX, 1969, 13-15; Idem, Un carteggio inedito del can.Vito Pappalardo con N.Nasi (1887-1893), in Soc.Trapanese per la Storia patria, Atti (1972), Trapani 1973, 137-177; Idem, La libertà e la roba. Storia di una città mediterranea, Corrao ed. Trapani,….
Pappalardo manda alle stampe Poche verità al buon senso cattolico, opuscolo in cui traduce dodici considerazioni di Jean Charlier Gerson, celebre teologo francese del XIV secolo, stilate ai tempi del concilio di Costanza (1414-1418), ora presentate nella convinzione profonda della loro attualità contro le pretese papali della scomunica del 26 marzo 1860 nei riguardi degli «invasori ed usurpatori» che attentano allo Stato pontificio. Ma altresì contro qualsiasi sentenza ingiusta del potere ecclesiastico, sentenza che non deve essere accettata, sebbene ricusata sia attraverso un’umile via, sia, occorrendo, con virile ed animosa resistenza, in nome della libertà di coscienza. Da Palermo, ovviamente, il vescovo reagisce a queste affermazioni di Pappalardo con un’insolita lettera pastorale datata 30 agosto, dove lo accusa, oltre che d’ingratitudine, di errori e di scandalo, inferti alla religione cattolica, e contestualmente proibisce la lettura delle proposizioni di Gerson, ritenute inficiate di gallicanesimo e già condannate [12].
La polemica coinvolge nei due schieramenti, rappresentati dal vescovo e da Pappalardo, preti e laici, che rispondono per iscritto accusandosi reciprocamente. In difesa del Pappalardo, divenuto oggetto di vituperi e di lettere anonime, interviene anche il noto intellettuale cattolico trapanese, Alberto Buscaino Campo che aveva già preso posizione sull’annessione ed avrebbe proseguito, oltre che nel suo impegno di chiarificazione dei testi neotestamentari, nell’auspicare un papato libero dalle cupidigie del potere e non più ostaggio dei gesuiti in un’Italia cattolica ed unita [13]. Tra gli avversari dei due esponenti del liberalismo, si camuffa come seminarista un giovane prete, ma è riconosciuto e smascherato quale autore di opuscoli anonimi insinuanti. Due opuscoli sono del giovane prete Alberto Lombardo e ripercorrono le affermazioni del vescovo, riversando accuse pesanti sia su Pappalardo sia su Buscaino Campo [14]. Il Pappalardo, da parte sua, tenta, invano, di essere ricevuto a Palermo dal vescovo che si mostrava sempre più oppositore intransigente, mediante una seconda lettera pastorale del 9 febbraio 1861, dove condannava tutti i sostenitori dell’unificazione nazionale definiti traviati ed inconsapevoli di offrirsi alla penetrazione del protestantesimo. La risposta del Pappalardo del 20 febbraio 1861, sempre a mezzo stampa, muove dall’intento di giustificare pubblicamente il suo operato e le sue pregresse affermazioni, senza alcun disprezzo per i dogmi cattolici. Pappalardo distingue il potere spirituale dal potere temporale, definito pietra d’inciampo, sostiene l’ortodossia di Gerson, difende le posizioni di altri preti a lui vicini e coglie nelle posizioni del vescovo motivazioni contingenti e personali, persuaso che la professione della fede appartenga a tutti e che «la casa della verità sia di gran lunga più spaziosa e capace della diocesi di Trapani» [15]. Il recente intervento di Buscaino Campo, apparso con il titolo elogiativo Un saggio di probità e di sapienza clericale, desta l’attenzione del canonico della cattedrale Vito D’Aleo che mette in moto tutta la sua retorica per contenere le argomentazioni del Buscaino Campo, mentre tenta di smorzare, contestualmente, le posizioni del Pappalardo: rievoca gli avvenimenti dal 1848, si sofferma sulla corrispondenza tra Pappalardo e il vescovo Ciccolo-Rinaldi, rassicura l’opinione pubblica che la scomunica comminata dal vescovo non può avere effetto giuridico, perché generica e non personale, dimostra che il gallicanesimo mai ha ricevuto condanne, giustifica la pubblicazione dell’opuscolo di Gerson ad opera del Pappalardo [16].
A questo punto le posizioni del Pappalardo si rafforzano anche in occasione del plebiscito che a Trapani coinvolge preti e laici. La sua impostazione politica in difesa della libertà e dell’unificazione è sintetizzata da lui, dopo vent’anni, in uno scritto occasionale e rievocativo, stilato nel quarto anniversario della morte di uno dei personaggi emblematici dei mutamenti civili avvenuti. Per il resto la passione politica del Pappalardo non era ignota a nessuno e si coloriva anzi dei suoi trascorsi e della difesa di principi di rettitudine [17]. Né valse la minacciata sospensione a divinis da parte del vescovo, quando si raccoglievano le firme per la petizione promossa in tutta Italia nel 1862 dall’ex gesuita Carlo Passaglia, petizione con la quale si chiedeva al papa la rinunzia al potere temporale. Ancora nel 1864 per l’abolizione della Legazia Apostolica in Sicilia è consultato, forse non a caso, dalla segreteria di Stato vaticana il vescovo di Trapani, insieme a quelli di Caltanissetta e di Caltagirone Le risposte del vescovo di Trapani tradiscono le reazioni non sopite alla concezione ecclesiologica da Pappalardo inculcata e diffusa[18]. Di certo da questo ambito trapanese è stilato nel 1869 l’Appello al basso clero italiano della Società Internazionale Emancipatrice del clero cattolico per l’imminente concilio Vaticano I, una richiesta per l’abolizione del celibato ecclesiastico e del dispotismo della gerarchia, nel contesto della auspicata rinunzia al potere temporale. Lo scritto suscita commenti e polemiche sulla stampa regionale [19].
All’indomani dell’unificazione italiana, il 18 ottobre 1860 Pappalardo aveva ricevuto dal prodittatore Mordini la nomina ad Ispettore scolastico a Trapani e nel 1863 era assunto come insegnante di pedagogia alla scuola normale femminile e di letteratura italiana al liceo, dove rimase fino al 1893, nonostante costretto a rintuzzare accuse sui suoi titoli accademici e sulle modalità della sua nomina. Per questo è costretto a rimanere in situazioni di precarietà nel lavoro che svolse con diuturna abnegazione. Un lungo magistero in cui annovera, tra i discepoli succedutisi, Nunzio Nasi, Giovanni Gentile, Nicolò Rodolico e tanti altri. Regge anche, per qualche tempo, il Provveditorato agli studi con Alberto Buscaino Campo quale segretario[20].
La polemica antiautoritaria del Pappalardo riaffiora ancora nella causa civile sostenuta contro la curia vescovile per la nomina a canonico della cattedrale, nomina ottenuta, nonostante una triplice proposta da parte del vescovo Ciccolo-Rinaldi, per intervento nel 1863 del re, cui competeva per l’istituto della Legazia Apostolica a quel tempo vigente in Sicilia. Contro una serie di cavilli avanzati sistematicamente dalla curia vescovile, Pappalardo reagisce con forza, prima di rivolgersi nel 1866 al Tribunale di Monarchia. Da notare che in piena vertenza, nel 1870, Pappalardo sostiene la sua ecclesiologia sinodale e trova conferma nell’interpretazione della bolla di erezione della diocesi nel 1844. La controversia è risolta con la sentenza favorevole giunta dopo oltre un decennio, ma implica il riconoscimento di una successiva nomina vescovile e la ritrattazione della firma apposta alla petizione Passaglia: riconoscimento e ritrattazione cui il Pappalardo rifiuta di piegarsi, sostenendo fino alla fine le sue ragioni pratiche e le sue impostazioni dottrinali. Quelle stesse che espone nel carteggio con il vescovo Francesco Ragusa (1880-1895), al quale si rivolge dal 1880 agli inizi di quel ministero episcopale, ma senza né cedimento e neppure esito di riconciliazione [21].
Appunto questa dirittura morale in difesa dei suoi convincimenti ecclesiali qualifica il Pappalardo nella sua azione civile e pedagogica. Proprio per questa visione teologica la sua figura supera gli ambiti del cattolicesimo liberale. A Pappalardo, infatti, non basta la ripresentazione del fatto cristiano senza un riesame razionale e storico-critico della fede. Per questo non si inquadra semplicisticamente nel cattolicesimo liberale che pure non rifiutava una generica modernizzazione della testimonianza religiosa con iniziative culturali ed associative, con la negazione del devozionalismo e con l’adattamento ai bisogni sociali, usando perfino delle nuove tecnologie della comunicazione. Al contrario a lui preme sintonizzarsi con i mutamenti della società. Conseguentemente Pappalardo rifiuta il regime di cristianità, affermatosi nel medioevo, il cui mito era divenuto progetto teologico-politico per tanti cattolici, anche a seguito della condanna globale della modernità da parte dei documenti papali. In questo modo Pappalardo si apre a ciò che è esteriore al cattolicesimo e proclama il primato dell’uomo.
Al liberalismo Pappalardo si era preparato prendendo posizione nell’analisi degli squilibri sociali in cui era vissuto fin da giovane, quando già sosteneva la necessità di educare politicamente alla «cittadinanza», per poter moderare l’estremismo delle plebi. Ma il suo liberalismo viene superato nel momento in cui propone l’ecclesiologia sinodale emersa al concilio di Costanza nelle rivendicazioni di un teologo come Gerson, attento alla crisi del magistero papale e alle anticipazioni della riforma evangelica protestante. Proporre l’opuscolo di quel teologo postmedievale, sconosciuto a quanti lottavano per l’unificazione italiana e a quanti l’ostacolavano, significa per lui negare il regime di cristianità e porre in primo piano la laicità dello Stato a confronto con un’ecclesiologia sinodale. Il richiamo alla verità senza confini ecclesiastici si alimenta in lui con il dovere di ascoltare la coscienza, come di tentare le vie della riconciliazione senza compromessi. Alla coscienza Pappalardo attinge per chiedere pubblicamente al vescovo di accedere alle nuove istanze e di uscire dai canoni ecclesiastici, ma anche per promuovere a livello regionale la firma alla petizione Passaglia contro il potere temporale. Il suo riformismo religioso giunge a precise richieste che investono la costituzione ecclesiastica e si accordano con l’umanità diffusa del suo agire. Così tutte le sue richieste educano le nuove generazioni ai valori civili ed alla convivenza democratica, ma propongono, altresì, un modo nuovo di essere Chiesa, ossia una ecclesiologia non verticistica, ma di partecipazione.
Anche se pochi di numero, i suoi scritti, pur contrastati da lettere ed opuscoli, raccolgono attorno alla sua figura di prete integro ed operoso i consensi dei suoi discepoli e dei suoi ammiratori soprattutto laici, alcuni dei quali sostennero le sue posizioni teologiche contro i denigratori. Prestigio che nel campo civile lo annovera, a giusto titolo, tra i patrioti liberali. Ma tutti, discepoli e non, furono pronti a tributargli onori ed a riconoscergli prestigio ben oltre il 1893. Il ricordo dei suoi discepoli lo esalta per l’incisività del suo insegnamento della letteratura italiana e per la fierezza del suo portamento. Amava esaltare poeti e letterati e trarre da loro moniti per la vita nazionale. Consapevole che il suo insegnamento tendeva alla formazione e non all’indottrinamento, Pappalardo invitava ad uscire dalla convenzionalità e a rivolgersi al rinnovamento.
In questo modo la sua concezione teologica si fonda sulla riforma della Chiesa, ma anche sulla spiritualità della missione evangelizzatrice e sull’appello alle coscienze: questa la sua teologia che non disdegna la rottura della piena comunione ecclesiale dinanzi ad imposizioni autoritarie. Proprio per questo la sua figura non appartiene solo al cattolicesimo liberale. Anzi, poiché la sua ispirazione alla modernità è radicalmente teologica per le connotazioni all’ecclesiologia sinodale, merita di essere principalmente esaltato tra gli antesignani promotori del modernismo. Si staglia, più precisamente, tra i teologi pre-modernisti, che a Trapani, come in altri contesti della Sicilia, predisposero e svilupparono i fermenti di un’ecclesiologia aperta alla modernità.
[1] V.Forte, Ricordi biografici del cavaliere canonico Vito Pappalardo, Trapani 1893, 11-20; F.Gianquinto, La diocesi di Trapani…,cit, 19, che rileva le attinenze con l’ambiente ecclesiastico, ignorate da altri.
[2] Discorso politico-religioso del sac.Vito Pappalardo della Casa Filippina di Trapani. Recitato nella cattedrale di Trapani alla presenza di mons. vescovo Vincenzo Ciccolo-Rinaldi il dì 29 luglio 1860, Trapani 1860; Poche verità al buon senso cattolico, Trapani 1860.
[3] Alberto Buscaino Campo, Avviso importantissimo, in Anonimo, Un disinganno, Trapani 1860; Di ciò che rilevi nel fatto dell’annessione, Trapani 1860.
[4] Autore dei due opuscoli anonimi è il prete Alberto Lombardo (1826-1863): F.Gianquinto, La diocesi di Trapani…, cit., 22-23.
[5] Lettera del sacerdote Vito Pappalardo a mons.Vincenzo Ciccolo-Rinaldi vescovo della diocesi di Trapani, estratto da «Sud» 20 febbraio 1861, 3.5.
[6] Alberto Buscano Campo, Un saggio di probità e di sapienza clericale, Palermo 1861, costituiva una difesa troppo focosa del Pappalardo, perché il letterato si scagliava contro gli anonimi opuscoli. Ora, invece, un canonico della cattedrale prende in considerazione l’intero contesto civile e cerca di scagionare Pappalardo: V.D’Aleo, Sui falsi giudizi dell’epoca nostra pel sac.Vito D’Aleo, estratto da «La Monarchia», maggio-giugno 1861.
[7] Espressione del pensiero politico del Pappalardo restano gli scritti: Elogio del cav.Giambattista Fradella di Torrearsa, Trapani 1885; Ad un medico. Lettere didascaliche, Trapani 1886.
[8] Su Carlo Passaglia (1812-1887) e le adesioni raccolte, circa 9.000: Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, Marietti, Roma 1981, II, 462-465. Sui preti passagliani trapanesi e sulla risposta del vescovo nel 1864: F.M.Stabile, Il clero palermitano…, cit., 115-116. 185-187.
[9] Appello al basso clero italiano della Società Internazionale Emancipatrice del clero cattolico, in «L’Ape Iblea» 199 e in «La Luce» 142. Sulla provenienza dell’appello da Trapani: F.M.Stabile, Il clero palermitano…, cit., 236-237.
[10] V.Pappalardo, Ad asserzioni gratuite risposta, Trapani 1865, rievoca la sua attività contro chi lo accusa di avere usurpato l’incarico e risponde alle insinuazioni del direttore di un periodico locale sulla situazione scolastica. Ancora negli anni seguenti deve difendersi da altre accuse sulla sua carriera didattica: Al can. Salvatore Martorana. Lettera prima, Trapani 1872; Al can. Salvatore Martorana. Lettera seconda ed ultima, Trapani 1872. Gli si era rivolto contro il canonico Salvatore Martorana, anche per interposta persona che ne difendeva le prerogative e le funzioni di Direttore del Convitto Normale Femminile: Enrico Pucci, Carissimo Sig.Professore, Trapani 1871. Si dilunga sulla qualifica di autentico educatore e sulle benemerenze civili: N.Nasi, Pel prof.Vito Pappalardo insegnante sacerdote cittadino, inaugurandosi addì 23 gennaio 1898 il suo mezzo busto. Discorso pronunziato dall’on.Nunzio Nasi nella chiesa naz. di Trapani, Trapani 1898. Inoltre: S.Costanza, Vito Pappalardo educatore, in «Trapani» XXX, 1969, 13-15.
[11]Sulla resistenza a mantenere il canonicato che comportava anche una rendita: Ragioni del sacerdote Vito Pappalardo contro la Curia vescovile di Trapani, Trapani 1870, dove ribadisce la sua ecclesiologia sinodale. In Una falsa idea degradante il capitolo cattedrale di Trapani, Trapani 1883 e in Lettera al rev.mo can. Salvatore D’Urso, Trapani 1883, difende la sua interpretazione della continuità tra antica collegiata istituita dalla bolla del 1844 e il nuovo capitolo della cattedrale. Tra i due scritti, contro la sua interpretazione e con accuse personali, si era inserito appunto un canonico, Salvatore D’Urso, Poche parole di risposta ad uno scritto del prof.Vito Pappalardo, Trapani 1883. Sottolinea la mancata riconciliazione e cita il carteggio, ovviamente per averlo consultato nell’Archivio della diocesi di Trapani, ora parzialmente inaccessibile: F.Gianquinto, La diocesi di Trapani…, cit., 20-28.
[12] Discorso politico-religioso del sac.Vito Pappalardo della Casa Filippina di Trapani. Recitato nella cattedrale di Trapani alla presenza di mons. vescovo Vincenzo Ciccolo-Rinaldi il dì 29 luglio 1860, Trapani 1860; Poche verità al buon senso cattolico, Trapani 1860.
[13] Alberto Buscaino Campo, Avviso importantissimo, in Anonimo, Un disinganno, Trapani 1860; Di ciò che rilevi nel fatto dell’annessione, Trapani 1860.
[14] Autore dei due opuscoli anonimi è il prete Alberto Lombardo (1826-1863): F.Gianquinto, La diocesi di Trapani…, cit., 22-23.
[15] Lettera del sacerdote Vito Pappalardo a mons.Vincenzo Ciccolo-Rinaldi vescovo della diocesi di Trapani, estratto da «Sud» 20 febbraio 1861, 3.5.
[16] Alberto Buscano Campo, Un saggio di probità e di sapienza clericale, Palermo 1861, costituiva una difesa troppo focosa del Pappalardo, perché il letterato si scagliava contro gli anonimi opuscoli. Ora, invece, un canonico della cattedrale prende in considerazione l’intero contesto civile e cerca di scagionare Pappalardo: V.D’Aleo, Sui falsi giudizi dell’epoca nostra pel sac.Vito D’Aleo, estratto da «La Monarchia», maggio-giugno 1861.
[17] Espressione del pensiero politico del Pappalardo restano gli scritti: Elogio del cav.Giambattista Fradella di Torrearsa, Trapani 1885; Ad un medico. Lettere didascaliche, Trapani 1886.
[18] Su Carlo Passaglia (1812-1887) e le adesioni raccolte, circa 9.000: Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, Marietti, Roma 1981, II, 462-465. Sui preti passagliani trapanesi e sulla risposta del vescovo nel 1864: F.M.Stabile, Il clero palermitano…, cit., 115-116. 185-187.
[19] Appello al basso clero italiano della Società Internazionale Emancipatrice del clero cattolico, in «L’Ape Iblea» 199 e in «La Luce» 142. Sulla provenienza dell’appello da Trapani: F.M.Stabile, Il clero palermitano…, cit., 236-237.
[20] V.Pappalardo, Ad asserzioni gratuite risposta, Trapani 1865, rievoca la sua attività contro chi lo accusa di avere usurpato l’incarico e risponde alle insinuazioni del direttore di un periodico locale sulla situazione scolastica. Ancora negli anni seguenti deve difendersi da altre accuse sulla sua carriera didattica: Al can. Salvatore Martorana. Lettera prima, Trapani 1872; Al can. Salvatore Martorana. Lettera seconda ed ultima, Trapani 1872. Gli si era rivolto contro il canonico Salvatore Martorana, anche per interposta persona che ne difendeva le prerogative e le funzioni di Direttore del Convitto Normale Femminile: Enrico Pucci, Carissimo Sig.Professore, Trapani 1871. Si dilunga sulla qualifica di autentico educatore e sulle benemerenze civili: N.Nasi, Pel prof.Vito Pappalardo insegnante sacerdote cittadino, inaugurandosi addì 23 gennaio 1898 il suo mezzo busto. Discorso pronunziato dall’on.Nunzio Nasi nella chiesa naz. di Trapani, Trapani 1898. Inoltre: S.Costanza, Vito Pappalardo educatore, in «Trapani» XXX, 1969, 13-15.
[21]Sulla resistenza a mantenere il canonicato che comportava anche una rendita: Ragioni del sacerdote Vito Pappalardo contro la Curia vescovile di Trapani, Trapani 1870, dove ribadisce la sua ecclesiologia sinodale. In Una falsa idea degradante il capitolo cattedrale di Trapani, Trapani 1883 e in Lettera al rev.mo can. Salvatore D’Urso, Trapani 1883, difende la sua interpretazione della continuità tra antica collegiata istituita dalla bolla del 1844 e il nuovo capitolo della cattedrale. Tra i due scritti, contro la sua interpretazione e con accuse personali, si era inserito appunto un canonico, Salvatore D’Urso, Poche parole di risposta ad uno scritto del prof.Vito Pappalardo, Trapani 1883. Sottolinea la mancata riconciliazione e cita il carteggio, ovviamente per averlo consultato nell’Archivio della diocesi di Trapani, ora parzialmente inaccessibile: F.Gianquinto, La diocesi di Trapani…, cit., 20-28.