SAN MATTEO e dintorni sul Monte Erice
La storia del paesaggio da Capo di Ferro a Monte Cofano ed oltre, sul mare di tramontana da Palermo a Trapani, conserva toponimi arcaici e resti monumentali ed iconografici, noti ai locali nella parlata e nella memoria, ma solo recentemente presi in considerazione da esperti e studiosi di storia, in attesa di approfondimenti archeologici per la piena fruibilità collettiva.
Nel restringere l’orizzonte sul versante di levante del Monte Erice e sue adiacenze, sono da notare alcuni impianti, molti certamente cristianizzati su precedenti di antica epoca. Una scarna rievocazione ne accomuna alcuni, quantomeno in ordine ai documenti che ne tramandano l’esistenza.
Nel Registro notarile di Giovanni Majorana (1297-1300) si menzionano nel 1299 come luoghi scelti da testatori: Santa Maria Maddalena e San Bartolomeo.
La piccola chiesa Santa Maria Maddalena ai Runzi, sotto la rocca-castello di Venere, tra i runzi/ rovi, è titolo antico di impronta bizantina. Era, infatti, meta di un pellegrinaggio la mattina del Sabato Santo, quando si ricordano tuttora le mirofore, le donne che si recavano al sepolcro, come usava, per ungere di profumi il corpo di Gesù, che, intanto, si mostrava loro risorto, segnatamente a Maria, secondo la tradizione identificata con Maria di Magdala.
Ugualmente di modeste dimensioni era la chiesa San Bartolomeo, uno degli apostoli venerato anche a Trapani ed in altre località non lontane, chiesa ubicata in corrispondenza di Porta Trapani, probabilmente da molto tempo esistente, se nel 1299 riceve un’eredità che compensava il prete beneficiale celebrante.
Nel 1339 il Testamento del milite Giovanni Majorana, oltre a riguardare Santa Maria Majuri Matrice (per la prima volta con questo titolo di preminenza) e Santa Caterina da lui fondata con annesso Hospitale, assegnava una modesta somma alle altre chiese della città e dell’immediato territorio: San Giuliano, San Cataldo, San Martino, Sant’Antonio, San Nicolò nuovo, San Bartolomeo, San Nicolò de Menta, Sant’Ippolito, Sant’Olìva. Queste tre ultime sono nella montagna, Sant’Oliva tra i moderni campi da tennis, Sant’Ippolito nei pressi di Giancuzzi sulla provinciale da Valderice, San Nicolò de Menta nella salita da Crocci verso Buseto.
Aveva, in particolare, indicato altre tre donazioni operi ecclesiae/ alla fabbrica della chiesa, ossia ad una istituzione, poi nota come fabriceria nelle chiese grandi, probabilmente queste erano così designate perché fuori città e affidate a chi periodicamente le accudiva:
chiesa San Vito a la Punta, il noto santuario che ha denominato l’intero promontorio, segno della venerazione invalsa almeno dal VI secolo, nonostante situato in luoghi impervi e diserti, rimasti tali fino al XIII secolo;
chiesa Santa Maria de Maziis, mai precedentemente attestata, dove maziis potrebbe indicare ammassi di erbacee, da ubicare a metà montagna, certamente sotto una chiesa particolarmente beneficiata, operi Sancti Lucae/ alla fabbrica di San Luca, località volgarmente intesa Santu Lucca, dove tuttora rimane il toponimo sull’ultima curva in alto sulla provinciale da Valderice.
Né meno significativa la terza segnalazione: nel 1339 una certa somma era destinata operi Sancti Mathei/ alla fabbrica di San Matteo, affiancata alla più famosa chiesa San Vito a la Punta. Di certo la chiesa San Matteo mai fu venerata con pellegrinaggi, ma era assai conosciuta perché lungo l’accorciatoia per Bonagia, località divenuta caricatoio di derrate e da cui provenivano pesci e prodotti del mare, essendo anche luogo di tonnara, inferiore per qualità, nel territorio pedemontano, solo a San Vito a la Punta. Il sentiero da Santu Lucca scende tuttora da Erice a San Matteo, passando per Chiaramusta (rigagnoli d’acqua mista incanalata dai Chiaramonte e condotta a Trapani nel 1342) e contrada Fontana rossa, altra nota sorgente. Da lì iniziava l’unica zona pianeggiante della montagna che si estende fino a San Matteo e termina con una discesa ripida, sovrastata dal faro, da cui il viottolo procede fino a Bonagia. Nel tragitto restano due dedicazioni ad Evangelisti, chiesa San Matteo e chiesa San Luca fuori le mura, come agli altri due chiesa San Marco ora a Valderice e chiesa San Giovanni, appena a ridosso delle mura di levante, ciascuna con propria storia.
Un sentiero, quello poi denominato San Matteo, storico, transitato abitualmente, oltre che per scendere da Erice al mare di tramontana, da chi proveniva lungo la riviera di Bonagia da Trapani o dall’entroterra di Monte Cofano; sentiero utilizzato dai diversi dominatori di Erice, succedutesi nel tempo. Merita di essere ricordata la presenza dei cartaginesi nel momento in cui influenzarono la vita della città, certamente nel periodo della monetazione punica e dell’ammodernamento delle fortificazioni nel V secolo a.C. Più tardi, nel 250-249 a.C. Roma riprende la guerra contro Cartagine, raggiunge l’eparchia punica di Sicilia e assedia Lilibeo, dove si combatte una lunga battaglia, finché nel 247 a.C. da Cartagine Amilcare Barca/ fulmine (290-229) arriva a Trapani e, dopo uno spostamento a Palermo, torna per difendere Lilibeo e Trapani e sale ad Erice da Bonagia, da dove si insedia a nord nell’attuale piano San Matteo. Altri condottieri erano giunti da Levanzo a Bonagia e da qui sul sentiero da quel pianoro verso Erice. Finché qualche tempo dopo, nel 243-242 a.C., Roma occupa Trapani e vince nella I guerra punica nel 241 a.C. segnando una svolta nell’assetto del Mediterraneo.
Resti archeologici nei pressi della chiesa San Matteo documentano accampamenti militari; resti architettonici ad opus reticulatum/ con fabbrica a reticolo di tasselli o di conci, tipica costruzione dei romani, in una parte di muro nei pressi. La chiesa San Matteo risalirebbe al VII sec. quando monaci in fuga dall’Oriente popolarono la montagna, di cui sono superstiti tante piccole chiese menzionate ed altre.
Il toponimo assunto dopo la trasformazione in piccola chiesa San Matteo è significativamente nella memoria, probabilmente anche per abitazioni rurali non distanti, dove gli eremiti certamente dissodarono quel pianoro. Una località ricca di vigneti e di terreni seminativi, come risulta nel Libro delle parecchiate della città Monte San Giuliano, dove parecchiata/ appezzamento di terra era proprietà data dall’amministrazione della città in locazione, non senza ingiunzioni per mancato pagamento. Per questo le abitazioni degli antichi affittuari, poi proprietari, furono usate fino a decenni recenti. Restano ancora case sparse, dove i contadini tornano nelle contingenze richieste dai prodotti coltivati, altri per trascorrere giornate in aperta campagna, ammirando panorami indimenticabili.